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IL PADRINO - PARTE III
(THE GODFATHER, PART III)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 marzo 1991
 
di Francis Ford Coppola, con Al Pacino, Diane Keaton, Andy Garcia, Sofia Coppola, Ralf Vallone, Eli Wallach, Joe Mantegna (Stati Uniti, 1990)
 
"Il cinema di Francis Coppola si fonda su una meditazione dello Spettacolo. Apocalypse Now rappresentava la perversione di quello massimo che l'uomo si offre da sempre, la guerra: e la degenerazione di quello spettacolo permetteva al regista una riflessione sulla crisi della cultura americana. In Cotton Club, invece, Coppola filmava ciò che avveniva sul palcoscenico con estremo realismo; riservando lo schematismo dei comportamenti, la banalità dei codici al mondo degli spettatori, quei gangster di cui denunciava la doppiezza e la violenza. Così facendo, la scena dello Spettacolo si faceva rifugio ed ed esempio di vita, riservato a pochi eletti . Nel PADRINO - PARTE iii e si spera ultimo, è un altro esempio di spettacolo ad essere preso in esame dall'occhio della cinepresa. Ed è ovviamente uno dei favoriti per un artista di origine italiana intento a raccontare una storia di mafiosi di origine siciliana: il melodramma.

"The stage is a world, and the world is a stage", dice una di quelle frasi che gli uomini dello spettacolo americano amano rigirarsi in bocca assieme al sigaro. E nel PADRINO - PARTE III Coppola fa di tutto, ma proprio di tutto per convincerci che gli umori della scena (ed in particolare su quella de La cavalleria rusticana che si svolge in parallelo alla parte conclusiva del film, girata al Teatro Massimo di Palermo) corrispondono - per non dire giustificano - ai codici di comportamento dei protagonista della sua saga mafiosa

Impresa non facile: tanto più che Coppola - da sempre geniale visionario ed inventore di immagini, ma assai meno sceneggiatore conciso e coerente - impiega due ore e tre quarti a sostenere la sua tesi. Che sarebbe poi quella della crisi di coscienza seguita da ventilata redenzione dell'ingrigito Al Pacino: da onnipotente superboss della mafia nuovaiorchese, a pellegrino in terra siciliana fino a confessione con lacrima al saggio vescovo, to' chi si rivede, Raf Vallone. Il tutto senza curarsi di limitare i danni, ma scomodando al contrario strada facendo connivenze ancora scandalose per le contrade USA: malavita, alta finanza e Vaticano, starring Papa Luciani e cardinale Marcinkus, Gelli, Calvi con tanto di ponte sul Tamigi, e la P2... Quando non sono occupati a far bollire l'acqua degli spaghetti, i personaggi malavitosi del PADRINO - PARTE III dovrebbero quindi rispondere a certe remore del melodramma: nelle quali l'impaziente violenza delle giovani generazioni (Andy Garcia, il padrino che ha da venì) si scontra con quella rassegnata e saggia delle vecchie, ma stemperandosi in sempre utili formulazioni da tragedia greca (l'ira degli dei per le colpe dei padri finisce per ricadere sui figli). Gli eccessi, insomma, sarebbero semplicemente il gioco di una convenzione teatrale, sostanzialmente dettata dalla tradizione.

"La famiglia Corleone è la mia", ha detto spesso Coppola, "e Il Padrino la home movie di una famiglia italo-americana che si sforza di acquistare la legittimità". Se la dichiarazione è di pura riconoscenza nei confronti della saga che gli ha permesso di recuperare tutti i soldi persi girando i suoi film migliori (com'è noto, il solo Peggy Sue got married rappresentò, fra i suoi film, un affare per i prooduttori) si può anche capirlo. Ma è anche vero che - confusioni ideologiche a parte - è proprio l'identificazione dell'autore con i suoi personaggi a costituire la sola ragione d'interesse del film (a parte l'abilità nel costruire la tensione della scena finale con il parallelo fra l'"hanno ammazzato compare Turiddu" e ciò che si trama fra le quinte: operazione per altro non inedita, basti pensare a L'uomo che Sapeva troppo di Hitchcock, o La strategia del ragno di Bertolucci). Il Padrino 3 è l'opera di uomo che medita sulla famiglia, di un padre che mette in scena la figlia con l'amore e l'imabarazzo che avrebbero potuto essere di Michael Corleone: operazione parzialmente riuscita per la recitazione non sempre all'altezza di Sofia Coppola. Ma indubbiamente, questo mezzo incesto cinematografico che non sarebbe dispiaciuto a Serge Gainsbourg, è la sola nota commovente, in un'opera altrimenti dettata più dalla testa che dal cuore.

Certo, pur nei suoi tempi estremamente lunghi quasi da serial alla Twin Peaks, il film si sviluppa con progressione esperta: oltre al mestiere dell'autore de La conversazione la garantiscono i collaboratori di sempre, le tinte ocra di Gordon Willis che le ha usate a lungo per Woody Allen, le scenografie di Tavoularis, costumi di Milena Canonera e musiche di papà Coppola. Ma gli appassionati di cinema più che di implicazioni economico-freudiane attendono con impazienza - ora che i debiti di vario genere sembrano estinti - il prossimo vero film di Coppola: quel Metropolis nel quale il regista, ispirandosi alle cospirazioni di Catilina, tenterà un parallelo fra la poltica della Roma di Cicerone e quella attuale della città di New York..."


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